Nilde vive coi nonni a Colle Torto, un piccolo paese di montagna con le strade strette, tortuose e ghiacciate sei mesi l’anno. Orfana, vegetariana e solitaria, indossa il lutto per la morte prematura e violenta della madre, di cui non custodisce alcun ricordo all’infuori di una pila di libri consumati, qualche disco e le bugie di nonna Adele e nonno Evaristo. «Mio padre non so chi sia. Credo sia un pezzo di cane che ci ha abbandonate» racconta. Eppure sarà una lettera di quel padre sconosciuto a svelare una menzogna lunga quindici anni e a catapultare la giovane Nilde indietro nel tempo, a quell’inverno in cui Lisa morì per mano dell’uomo che amava. Da qui inizia un viaggio fatto di verità nascoste, vite interrotte, sensi di colpa attraverso gli occhi spietati di una sedicenne a cui tocca il compito di giudicare, condannare e liberare dai peccati quegli adulti responsabili (direttamente o indirettamente) della morte di Lisa Malatesta. Sua madre.

Perché ho scritto questo libro?

Un volta ho letto di un uomo che ha ucciso con un pugno una sconosciuta. Ogni 60 ore una donna incontra la morte per mano di uomo. La narrazione tossica parla di raptus di follia, delitti passionali e persino di “troppo” amore. In Brucia la vecchia racconto tutto ciò che non è amore e delle terribili conseguenze del confondere per tale – da parte dei protagonisti – il bisogno di salvare o essere salvati, la smania di possedere o controllare, i giochi di potere e le dipendenze affettive.

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