Don’t tell my mom è uno story show ideato da Matteo Caccia che, prima della pandemia, veniva ospitato dal Pinch sui Navigli a Milano, il primo lunedì di ogni mese. Le regole sono semplici: bisogna raccontare qualcosa di vero che non vorresti far sapere a tua madre, deve durare 5 minuti e non vale leggere.

Questo è il mio intervento di un lunedì sera di Aprile del 2016.

Non dite a mia madre che sono una pessima madre….

È dieci giorni che manca la mia adorata gattina di nome Ombra. Ed ogni volta che sento un rumore penso sia lei che è tornata e mi viene un infartino. Abito al piano terra e può entrare ed uscire quando vuole, perché ho deciso che fosse giusto favorire la sua autodeterminazione. La gattaiola simbolo della sua capacità di scegliere con chi e dove vuole vivere. Il fatto che sparisca spesso e volentieri per giorni e giorni, mi fa pensare di non essere la madre migliore del mondo. Sono quel tipo di madre troppo libertaria e troppo poco autorevole forse. E infatti, se non fosse sterilizzata, sarei contenta di sapere che va in giro a copulare e a fare strage di cuori… perché è bellissima. Ma non è così, lei va in giro perché le ho permesso di essere indomita e selvatica. 


Fatto sta che ho capito – ogni volta che sento un rumore e penso che sia lei – quel meccanismo delle madri che prendono a schiaffi i figli che attraversano a cazzo la strada. Ora comprendo gli occhi di rancore e giubilo di mia madre, che mi accoglieva sveglia in salotto quando tornavo da adolescente a notte fonda barcollando o vomitando perché avevo preso freddo. 

È che io ci credo proprio a questa cosa dell’autodeterminazione. E così come non voglio che la paura mi imponga di imbrigliare la mia indomita gattina, così non voglio che la paura mi impedisca di uscire da sola, far tardi e prendere i mezzi pubblici di notte.

Da sola.

Ubriaca la maggior parte delle volte.

Il problema principale del prendere i mezzi pubblici di notte, da sola e ubriaca per tornare in quel di Tradate in provincia di Varese, da Milano.. è che a causa dell’industria automobilistica e dei poteri forti legati all’industria petrolifera, i mezzi pubblici fanno letteralmente cagare – e non uso questa espressione a caso –  e l’ultimo treno è intorno alle 22 che mi porta però fino a Saronno e da lì prendere il bus sostitutivo che fa tutta la provinciale e tutte le fermate della linea ferroviaria. Dopo mezzanotte non ne parliamo… Perché non c’è neanche più il treno fino a Saronno e il bus parte direttamente da Milano Cadorna, per due ore di terrore o noia suprema a seconda di chi sono i miei compagni di viaggio

Una breve parentesi. Mi chiamo Valeria Disagio perché quando lavoravo nel sociale a contatto con parecchi casi umani, dovevo “censirli”, ma sebbene nei moduli che dovevo compilare ci fosse spazio per il nome e il cognome, per questione di privacy non potevo mettere il cognome e così pensando che i miei superiori non avessero gradito se io avessi scritto… che ne so… Matteo il tossico, Federico l’ubriacone o Paola la ritardata… ho optato per un generico e giornalistico “disagio”. Quindi c’era Matteo Disagio, Federico Disagio e Paola Disagio. La cosa fece molto ridere i miei capi che da allora mi chiamarono così, anche per altro motivazioni che non sto qui a spiegarvi… Ma tutti possono essere Disagio.  Un ragionamento analogo l’ho fatto per i miei compagni di viaggio del bus sostitutivo notturno.

Perché non è la nazionalità o il livello di istruzione che fanno l’emarginato. Non importa se proviene da un Paese più o meno maschilista o più o meno alcolista o più o meno devastato dalla guerra… ciò che ti rende un emarginato è il sacchetto.

Fate attenzione. Avete presente quei sacchetti enormi fatti di concentrato di petrolio purissimo, bianchi o azzurri, senza logo? Non li producono dall’86 probabilmente e non ho davvero idea di dove li recuperino. Fatto sta che se vedete uno con un sacchetto gigante, di notte, su un bus sostitutivo notturno, compatitelo o temetelo. Ed è di una gang di sacchettini, sacchettesi, sacchettari…. Non so come definirli… che vi voglio raccontare.

Perché una bella notte in cui tranquilla sedevo sul mio bus sostitutivo, mi sono imbattuta in un gruppo di 5 sacchettesi giovani e alle prime sbronze. Elemento che incrementa in modo esponenziale il fattore coglionaggine. Dico che sono giovani e alle loro prime sbronze perché bevevano Keglevich alla fragola. E chiunque abbia uno stomaco sa benissimo che non è possibile sbronzarsi per più di una volta per generazione con la Keglevich alla fragola.

Ad un certo punto però, i nostri sacchettari al gusto fragola e vomito, mi notano e cominciano ad avvicinarsi. Ed io dentro di me maledico quella mia stronzissima fissazione per l’autodeterminazione che mi ha portato da sola, di notte, su un bus sostitutivo notturno e ripasso come un mantra le tre tesi dell’autodifesa femminista.

Artist: Jenn Woodall

Sì, perché ho una bottiglia di birra in mano e penso che potrei difendermi spaccandola e puntandola alla giugulare, ma no…

Le tue stesse armi possono essere usate contro te stessa

Il manuale di autodifesa femminista sconsiglia l’uso di armi, perché è più facile essere disarmate prima di riuscire ad usarle. Non è proprio da tutti spaccare una bottiglia e puntarla alla gola di qualcuno. Metto via la bottiglia nella borsa sperando che non l’abbiano notata e vedo una cosa che mi ricorda la seconda tesi del manuale di autodifesa femminista.

Tu sei l’arma

Per questo s’intende che un “NO” risoluto o una determinata postura possono essere sufficienti a volte per scoraggiare un’aggressione. Io però non sono troppo lucida e penso che il mio corpo sia per davvero un’arma e comincio a ripetere “sono un’arma, sono un’arma… le mie mani sono un’arma… le mie mani hanno gli artigli… si io sono un mutante… sì, cazzo… io sono Wolverine” e infatti prendo le mie chiavi di casa, infilo ogni chiave tra le dita e così divento Wolverine. O almeno credo. Ma le chiavi strette così in mano fanno un male boia e no, non credo di riuscire ad artigliare qualcuno che le chiavi della cassetta della posta. Allora penso alla terza tesi, la più estrema: è statisticamente provato che delle donne si siano salvate da un’aggressione rendendosi sgradevoli e non appetibili – passatemi il termine sebbene il concetto in sé faccia davvero schifo – dal punto di vista sessuale.

CERCA DI FAR SCHIFO AL C***O

E allora eccomi lì, un minuto prima ero Wolverine e il minuto dopo sono pronta ad alzare le braccia al cielo e urlare “Ho la candida e prude da morire” o nel caso più estremo farmi la cacca addosso. Ma per fortuna i sacchettesi sono scesi alla fermata prima della mia. Io sono tornata a casa ho controllato che la mia gatta fosse dentro e ho chiuso la gattaiola. Perché il mondo è quel posto orribile in cui una donna deve essere disposata a farsi la pipì addosso per poter girare da sola.

E niente… non dite a mia mamma che io sono Wolverine. 

EDIT: ho smesso di prendere il bus sostitutivo notturno da anni, ma in compenso sono stata scippata da una gang di teenagerz, in pieno giorno, in treno.

EDIT 2: Ombra, la mia gattina, ha deciso di non tornare più. Mi piace credere che abbia trovato una coinquilina più attenta e premurosa di me. A lei avevo dedicato questo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *