Sarà come camminare su travi scricchiolanti senza far rumore – come fa la protagonista grazie alle sue lezioni private di Yoga – poter scrivere di questo horror socio-psicologico senza svelare uno dei pochi colpi di scena che sia riuscito a sorprendermi, da un bel po’ di tempo a questa parte, in ambito cinematografico. (p.s. NON guardate il trailer)

Il film in questione è Antebellum e, per quanto assurdo possa suonarvi, per parlare di questo devo prima parlare del remake in chiave femminile di Ghostbusters.

No, We cannot…porcocazzo

No, perché la mia è proprio una vita di merda. Era un normalissimo venerdì sera in pieno lockdown e avevo voglia di vedere un film leggero con quel cicinin di nostalgia dei tempi che furono, ma mi sono ritrovata ad incazzarmi come una jena con le mestruazioni perché, se l’empowerment delle donne in versione hollywoodiana, deve essere il racconto di donne potenti che fanno battute rozze e uomini etero macchietta, belli e stupidi, di mero contorno e allora no, porca merda, qua non andiamo da nessuna parte. Perché non si tratta di prendere il loro posto ma di “una vita radicalmente diversa. Braaah. Braaaah” (cit.)

“Si tratta di capire che la vita, che il capitalismo troppo spesso ci porta a maledire, può essere bella … e che il programma della lotta che abbiamo intrapreso non è per una vita migliore, ma per una vita radicalmente diversa”.

Quel potere, come lucidamente raccontato nel romanzo “Ragazze elettriche” (titolo originale “The power”, putacaso) di Naomi Alderman ed edito dalla nottetempo, fa schifo a prescindere. E io volevo solo passare qualche ora di spensieratezza, diocristo. Ma tornando ad Antebellum e all’idea di una vita radicalmente diversa di Contrasto HC-memoria, è vero che ci siamo riempiti il giubbotto di spille, ci siamo riempiti la bocca di slogan, abbiamo imparato a dire Senatora o a usare l’asterisco, la “u” o la ə per un linguaggio più inclusivo. La settimana vegana controvoglia e lo spazzolino di bamboo fabbricato nella medesima azienda che divide la sua linea di produzione con il brand sensibilone per consumatori sensibili (e abbienti) e il brand che salva il profitto e distrugge il pianeta, per il restante 99% della popolazione. Siamo dotte, siamo politicamente impegnate, siamo sexy ma fedeli e attente a tenere sempre viva la fiamma della passione (che è comunque quel focolare, ma in versione socialmente accettabile). Facciamo yoga per scacciare i cattivi pensieri e imparare a stare in equilibrio sui sensi di colpa del tempo che togliamo ai nostri figli, alla carriera, a noi stesse e piangiamo da sole per nascondere una fragilità che non è più accettabile. Ci scusiamo con le amiche se abbiamo una giornata “no”. Siamo sempre pronte a sdrammatizzare tutto (il dolore, il senso di fallimento, il lento stillicidio quotidiano di micro-lotte per l’affermazione di noi stesse e dei torti abitudinari, il decadimento dei corpi, l’appassire dei sogni e le ambizioni) come la sapiente arte di friggere tutto per nobilitare anche la più insulsa delle verdurine anemiche. Eppure, eccoti, raggiante su un palco a dire che NOI siamo il futuro, davanti a uomini e donne che non possono far altro che applaudire e incoraggiarti perché tu sei una donna nera negli Stati Uniti d’America nell’epoca di Trump, perché il patriarcato è morto e lo sappiamo perché su Netflix in ogni serie ogni minoranza è sapientemente rappresentata e narrata senza – ovviamente – accennare lievemente il fatto che no, non è così semplice e spontaneo essere un teenager gay di colore in un paesino di provincia, non lo è nemmeno essere una madre lesbica di colore nella medesima cittadina di provincia – come ci vogliono raccontare in Sex Education in cui l’unica vera discriminata, guarda caso, è la povera (ma figa) che vive nella roulotte – ed io per te, donna afroamericana, a mo’ di parziale (seppur iniquo) risarcimento di quello che hai subito e subisci, dico che sia giusto cancellare Via Col Vento dal palinsesto perché è razzista e persino quella puntata di Mad Men in cui il protagonista si dipinge la faccia di nero perché è offensivo. Tutto questo perché il razzismo è una cosa brutta, no? Lo sanno tutti. Il razzismo appartiene alla storia. Il patriarcato è morto. Così come è morta quella docilità che ha reso schiave e schiavi fino a…

Antebellum si apre con una frase di Faulkner che dice: «Il passato non muore mai. Non è neanche passato» ed una delle primissime battute della protagonista recita: “Le cose non sono come quelle che sembrano“.

Non sarà la verità edulcorata e raggiante del politicamente corretto à la Netflix, non sarà il nostro successo legittimato da una audience compiacente venuta lì perché crede in quello che diciamo, perché vuole sentirsi dire quello che raccontiamo, non sarà il chiuderci in cerchi sempre più concentrici e autoreferenziali in cui tutti pensano, agiscono e vivono allo stesso modo, non sarà il rifugiarci in un universo parallelo in cui noi – grazie alla ricchezza e alla nostra posizione sociale – possiamo permetterci di agire come chi ci ha oppresso e rivendicare che noi beviamo solo champagne e la vodka al mirtillo è da miserabili, molestare l’autista di Uber perché è un gran bel figo scopabilissimo, trattare male la cameriera perché ci mette in un tavolo di merda troppo vicino al cesso del migliore ristorante della metropoli, a proteggerci o salvare noi stesse e il mondo intero dagli abusi di potere e i meccanismi malati delle gerarchie, perché ci sarà sempre una receptionist che ti tratterà di merda perché sei nera. Così come ci sarà una donna nera ricca che tratterà di merda un cameriere bianco. E ci sarà quel cameriere bianco che tratterà di merda un disoccupato. E quel disoccupato che odierà così tenacemente tutto questo che egli stesso cercherà di creare la sua isola felice dove i neri sono negri e schiavi, le donne o sono mogli o puttane – ma comunque inferiori – e lui bianco, maschio, eterosessuale non è secondo a nessuno.

Se cito Israele, il sionismo e la questione palestinese, piscio fuori? Chiedo per un amico. 

Ma tu che razza di donna sei?” urla la protagonista, alla sua carnefice, in quel campo di cotone in cui è schiava. Che razza di donna sei, se permetti agli uomini di violentare, picchiare e uccidere altre donne. Tu, che per loro sei comunque inferiore eppure gregaria e complice della gerarchia e del potere, in tutto il tuo “donnismo” alla Alpha Woman?

Niente è come sembra in Antebellum. Esiste la narrazione della realtà ed esiste un piano alternativo e parallelo in cui il bianco e nero è ben distinto e non ci sono arcobaleni che celebrano l’uguaglianza e l’inclusività di chicchessia. La lotta è sempre e solo una. Quella contro il potere, indipendentemente dalla casacca che l’oppressore decide di indossare.

No, non indossare la giubba dell’oppressore, amica. Manco se fa freschino, MAI.

Mi viene in mente quel buffo MEME che inizia con “Bill fa questo e Bill non fa necessariamente questo. Sii intelligente. Sii come Bill”. Dopo la visione di Antebellum mi viene da dire “Non essere come Veronica e le sue amiche. Non indossare quella giubba.” Il potere fa schifo SEMPRE. Ah, anche il capitalismo… quello fa cagarissimo perché libera dall’oppressione rendendo oppressori. E fin tanto che non sovvertiremo questo potere e le sue dinamiche, tutto ci potrà essere portato via in qualsiasi momento. O un pochino per volta come il lavoro, i soldi sul con conto in banca, la propria identità (come in Handmaid’s Tale di Margaret Atwood), anche nel più lucido dei sogni “pay per view” in cui crediamo di essere liberi. Veronica, senza i suoi soldi e la sua posizione sociale, non è nulla di più che una schiava, esattamente come lo erano i suoi avi.

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